Marina Zanotti (Malawi) – 27/05/2020

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Sono quasi le sette del mattino di una limpida e fredda domenica di maggio quando, fuori dalla finestra della mia camera, sento chiaro e forte un “odi…” che, in lingua chichewa, equivale ad un permesso per entrare… ; come vuole la consuetudine di queste parti mi assicuro che stiano cercando proprio me e non qualcun altro… : ” Kuno…?” ( Qui…? ) – chiedo – e, come sempre avviene, nessuna risposta…

Esco indossando velocemente sopra il pail una pashmina di lana, ricordo dell’India di Sandra, per difendermi dall’aria troppo frizzante per i miei gusti e mi trovo davanti una ragazzina scalza con indosso una lunga canottiera sopra la quale, annodato dalla vita in giu’, pende un rettangolo di stoffa colorata che le avvolge le gambe sino alle ginocchia a mo’ di gonna.
Falida, questo il suo nome, sciogliendo un nodo fatto su un lembo di tale stoffa, ne estrae un pezzetto di carta piu’ volte ripiegato e me lo porge… : il mio sguardo interrogativo incontra i suoi occhi grandi, scuri e profondi quanto la notte e, dopo qualche istante di silenzio, le chiedo spiegazioni… ; ” leggi ” – mi dice – “e’ una lettera che ha scritto per te la mia mamma ” . In una calligrafia traballante e stentata propria di un bambino alle prime armi la madre di Falida e, a quanto scopro, di altri sei bambini, chiede, supplicandolo, del cibo.
Falida rimane immobile, in silenzio…ed io, a differenza di quanto succede alla hall di Tiyende Pamodzi davanti alle richieste di cibo di tanta gente, invece di sedermi ad un tavolo per chiedere le informazioni necessarie a capire la situazione familiare e di sfoderare regole ed accordi fondati sulla reciproca suddivisione di compiti e responsabilita’ per poter aiutare senza cadere nel mero assistenzialismo, rimango in piedi… a guardarla…, impotente e disarmata… : il suo semplice stare mezza nuda nel freddo davanti a casa mia mi scuote…, mi interpella… ; ho in casa patate dolci e zucche, regalo della gente dei villaggi, farina proteica di “likuni phala” che tengo per l’emergenza fame di bambini ed anziani, zucchero e the’ . Mentre Falida impacchetta il tutto nella stoffa che ha lasciato la sua funzione di gonna per diventare borsa della spesa, i suoi occhi brillano di luce nuova e con voce che arriva direttamente dal cuore ringrazia emozionata per il dono ricevuto. Mentre la guardo allontanarsi portando sul capo con grazia ed eleganza il pacchetto sapientemente confezionato in quella macchia di colore, le grido di tornare indietro e di corsa rientro in casa a prendere uno zainetto destinato ai bambini di scuola nel quale faccio entrare il contenuto di quel pacchetto cosi’ da permettere alla stoffa colorata di tornare a coprire almeno un poco quelle gambe magre ed infreddolite ; ci aggiungo del sapone e, dulcis in fundo, invito Falida ad indossare un bel giubbetto di pail con tanto di cappuccio, regalo di compleanno di un’amica che ben conosce il mio timore per il freddo e il mio piacere nella condivisione…
Falida si atteggia felice davanti ad un invisibile specchio e questa volta e’ lei a fissare i suoi occhi umidi nei miei… : mi saluta, la saluto… ; rientro in casa solo dopo aver visto la sua sagoma scomparire…e nell’album della memoria si affacciano rapide, una dopo l’altra, le immagini delle tante famiglie dei villaggi alle quali, con il gruppo Tiyende Pamodzi, faccio visita quotidianamente : quante Falide…! Quanti bambini con giovani madri e nessun padre…! Quanti focolari spenti e quante pentole che ogni giorno cuociono solo foglie di zucche o di fagioli…! Domani come ogni giorno feriale della settimana si ricomincera’ con le tante Falide a prediligere parole invece di sguardi…, distanze cosidette “sociali”  invece di maglioni condivisi che riparino dal freddo…
Le campane della vicina parrocchia di Namwera chiamano alla messa… : sui gradini in cemento del sagrato della chiesa un secchio di plastica blu con un piccolo rubinetto esterno ed un pezzo di sapone appoggiato sul suo coperchio ricordano a tutti i fedeli di lavarsi le mani prima di entrare a pregare cosi’ da prevenire il contagio da coronavirus… ; sorrido davanti a tanta premura e  sollecitudine nella lotta contro un virus che fino ad oggi ha causato 4 decessi e che, a quanto pare sara’ sconfitto da acqua e sapone di cui ogni ufficio e istituzione pubblici sembrano farsi vanto e fatico a rassegnarmi alla totale noncuranza verso un virus ben piu’ mortale, quello della fame, che da anni miete ogni giorno moltissime vittime senza destare l’interesse e la preoccupazione di nessuno, tantomeno dei governi. E con le mani profumate di sapone e giunte in preghiera chiedo che gli “ODI” delle tante Falide della terra diventino cosi’ assordanti da sfondare portoni…e lasciar entrare NUOVA VITA, quella che probabilmente neanche il coronavirus ha saputo donare…

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