Il coraggio di sognare

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«I sogni sono importanti – ha detto Papa Francesco sabato 11 agosto ai 70mila giovani della veglia romana -. Tengono il nostro sguardo largo, ci aiutano ad abbracciare l’orizzonte, a coltivare la speranza in ogni azione quotidiana».

Perché dobbiamo stare attenti a snobbare i “sognatori”: sono capaci di sorprendere chi li crede ingenui e illusi. Come Giuseppe: «mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa…”».

Il sogno è una cosa seria, non va scambiato con l’utopia inconcludente di chi si chiama fuori dalla storia per costruirsi un mondo a parte. Sognare spalanca la vita a progetti che faticano a star dentro la camicia di forza di compromessi e regole scritte da altri. È solo sognando che si può contemplare ciò che ancora non esiste e che tutti, attorno, ti spingono a credere inutile, faticoso, irrealizzabile.

Per questo, nel silenzio creato dal sogno, Dio può parlare all’uomo, riempie il cuore disposto a non accontentarsi, e convince che l’impossibile è tale solo per chi si contenta del prudente realismo. Così scompiglia il castello di carte del calcolo e della convenienza col vento del nuovo.

Chi non sogna più smette di sperare, si accontenta del menù passato da una vita al ribasso. Giuseppe, poco più di un ragazzo, non era tipo da accontentarsi se Dio gli parlò in sogno capovolgendo i suoi progetti, evidentemente contando che poi, «destatosi, fece come gli aveva ordinato l’angelo».

Capiamo, allora, perché Papa Francesco ami tanto parlare di sogni. E perché ai giovani italiani che al Circo Massimo gli rivolgevano domande in carne viva – tutt’altro che da ingenui – ha chiesto di capire un formidabile paradosso: bisogna svegliarsi per sognare, scendere dal letto per poter vedere il proprio futuro e mostrarlo a un mondo che i sogni non addomesticati dal mercato li liquida come vani e pericolosi.

I sogni, ha aggiunto (e ce n’è anche per noi adulti), «ti svegliano, ti portano in là, sono le stelle più luminose, quelle che indicano un cammino diverso per l’umanità» ormai troppo abituata ai «sogni della tranquillità», quelli «che addormentano» e che «fanno di un giovane coraggioso un giovane da divano».

Tutt’altra è la strada dei sogni di futuro, veramente tali solo se «in grande», e condivisi: diversamente si trasformano in «miraggi o delirio di onnipotenza». Per questo «hanno bisogno di Dio» e del «noi», garanzie di autenticità.

I giovani che sono arrivati a Roma “#permillestrade” si sono conquistati la meta grazie alla loro fatica personale e hanno mostrato alla Chiesa e alla società che non li ferma nessuno se gli si sa dare vero ascolto senza temerne attese, domande, contraddizioni, insofferenze, richieste, ingenuità… anche sfacciataggini.

Più spesso di quel che sembra, dentro la loro anima in subbuglio ci sono i sogni che chi dovrebbe introdurli nel mondo sembra aver disattivato come notifiche moleste in una vita che già si considera piena.

Indubbiamente i cammini e l’incontro col Papa di quest’estate segnano un passo nuovo nel dialogo tra giovani e Chiesa, una consegna seria al Sinodo di ottobre: la consapevolezza che ci si può ritrovare nello spazio libero dei sogni e delle speranze grandi. Consapevoli che per niente di meno vale la pena destarsi.

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