Un oratorio da sogno

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È sera, c’è un articolo per la settimana dell’educazione da preparare… cosa scriverebbe don Bosco per l’oratorio, per un oratorio come il nostro dedicato proprio a lui? Gli occhi mi si chiudono, e inizio a sognare.

Sogno un oratorio bello, che sa dire a ciascun ragazzo “vedrai che bello!”

Un oratorio che si accorge dei ragazzi. Una comunità intera che, consapevole della propria missione educativa, è attenta ad ogni singolo ragazzo e al percorso umano concreto che sta vivendo. Si ferma con lui, lo accoglie con amicizia. Prende l’iniziativa di parlargli, di dialogare con lui, di ascoltarlo. Perché si parte e si inizia sempre da quello che c’è, lì dove si è. E da lì ci si dispone a camminare insieme.

Sogno, poi, un oratorio che accoglie. Accogliere significa allargare, fare spazio: perché ogni ragazzo che entra in oratorio è l’inizio di una storia unica e nuova, e ci chiede di essere disponibili a cambiare. Un oratorio che accoglie veramente i ragazzi è un oratorio che non invecchia mai.

E ancora, un oratorio che vuole camminare insieme ai ragazzi e alle loro famiglie, li vuole accompagnare nella strada della vita. Una comunità educante che si giochi coi ragazzi, cercandoli nei loro contesti di vita, creando rete tra i diversi soggetti che interagiscono con loro. Una comunità educante che assume come stile il gioco di squadra, sia al suo interno, che nel contesto sociale che abita.

Un oratorio che coltiva un sogno grande: portare tutti i ragazzi nella casa di Gesù, dove Lui si trova bene, dove gli piace stare: Lui è capace di vedere umanità e bellezza in ogni persona, ma principalmente nelle situazioni di povertà. Un oratorio che non chiude gli occhi ma spalanca gli orizzonti del cuore dei ragazzi e li spinge ad abitare con amore e tenerezza quella casa di Gesù che è la carne dei poveri.

E sogno un oratorio contagioso, che diffonde allegria e voglia di stare insieme. Un oratorio che non sia una piccola e stentata parentesi tra i mille impegni della settimana, ma un tempo di ricarica, di energia che contagia la vita intera.

Un oratorio, alla fine, che ha a cuore la crescita e la maturazione complessiva del vissuto dei ragazzi. Che educa, come ci ha detto papa Francesco nel dialogo a San Siro lo scorso 25 marzo, con l’intelletto, con il cuore e con le mani. Che aiuta i ragazzi a scegliere il bene e a giocarsi sempre per ciò che è bello, grande, per ciò che vale di più.

Perché l’oratorio, come Giovanni Battista, deve avere il dito puntato su Gesù e aiutare i ragazzi a riconoscerlo presente nella loro vita di tutti i giorni: a casa, a scuola, nella pratica sportiva, negli impegni quotidiani, nei momenti belli e in quelli faticosi e difficili.

Un oratorio che aiuti i ragazzi a riconoscere la propria “vocazione”, cioè quell’apertura alla vita di ciascuno che va personalizzata. Perché la vocazione non è semplicemente scegliere una professione, scegliere una condizione di vita, bensì scegliere l’intonazione personale della propria esistenza: per indagare sul “perché”, sul “per chi” e su quel “verso cui” siamo attratti e destinati, verso cui si indirizzeranno le nostre risorse migliori.

Perché la cultura dell’individualismo del godimento a tutti i costi in cui siamo immersi ha inquinato questa ricerca e ha trasformato la domanda in “qual è il modo migliore per godermi la vita?”. Cercare di rispondere a questa domanda è il peggio che si possa fare. Perché pensare ad accumulare le risorse che ci rendono felici aumenta la frustrazione. E infatti, nel nostro contesto, dove si dice che ormai i ragazzi hanno tutto, rispetto a tanti altri posti dove la maggior parte dei ragazzi non ha niente, stiamo diventando infelici.

Invece, il segreto del nostro compimento e pienezza è interrogarsi creativamente su chi siamo destinato a rendere felice e che cosa possiamo inventarci per abbellire il mondo. Se ci facciamo questa domanda allora scopriremo molte cose di noi stessi che altrimenti non avremmo mai saputo e capiremo la verità della Parola evangelica che dice che se veramente si dona la vita, la si guadagna cento volte.

A questo punto mi sono svegliato. E non so se il sogno era mio o è stato di don Bosco… certamente so che così l’oratorio sarebbe veramente un posto bellissimo! Un posto che se ci vai sei contento! Stai bene! Perché cosa si fa di straordinario? Cosa si fa di eccezionale? Niente… si sta insieme, si gioca, si prega, si impara ad aprire il cuore agli altri e al mondo… ma è proprio questa la formula segreta e straordinaria dell’oratorio, il potente antidoto alla noia e al vuoto, il tocco decisivo alle corde nascoste del cuore, l’impulso interiore che può muovere la vita, la nostra e quella di tutti!

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